Lo svenimento al II° cerchio
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Accanto all'episodio dello svenimento al III° canto dell'Inferno, se ne annovera un altro che ha luogo al V°.
Questo secondo evento è legato alla forte emozione, suscitata nel Poeta, dal racconto di Francesca e dalla sua tragica storia. Innegabile il fatto che il significato profondo della vicenda rimandi ai legami tra l'amore dimostrato da Francesca da Rimini e la poesia stessa dell'Alighieri. La correlazione sembra così forte da suscitare un'emozione altrettanto intensa da provocarne lo svenimento. Su tutto questo niente da dire; voglio avanzare però una riflessione.
A mio modesto parere, ritengo quanto meno inverosimile, o poco probabile, che per un resoconto come quello dei due amanti, si possa arrivare a perdere i sensi. Se in tutta la prima cantica, quello fosse stato il momento emozionante, sotto tutti i punti di vista, più alto e intenso, non avrei avuto alcunché da ridire.
Mi vengono però in mente diversi episodi in cui uno shock emotivo sarebbe ben peggiore; si pensi alla riviera di sangue al VII° cerchio: è noto come la vista del sangue sia motivo di svenimento per la maggior parte di noi. La bolgia degli indovini, dove gli uomini hanno il collo torto in modo tanto orribile; quella dei ladri, dove le anime si trasformano in serpenti (alla vita dei quali, in molti perdono i sensi per la fobia) e viceversa.
La bolgia dei seminatori di discordie, nella quale le anime vengono letteralmente fatte a pezzi, fino a mostrare orribilmente le viscere. E che dire della scena del conte Ugolino che rosicchia il cranio dell'arcivescovo Ruggeri, fino farne fuoriuscire le cervella? Eppure, nonostante questi spettacoli a dir poco raccapriccianti, Dante resta lucido, turbato, ma lucido; eppure sono passate solo poche ore dal racconto di Francesca al momento in cui il Poeta assiste a simili orrori. È altrettanto inverosimile che in così poco tempo, egli abbia sviluppato la capacità di sostenere la vista di fronte a macabri spettacoli. E allora, qual è il bandolo della matassa?
Ciò che generalmente non viene preso in considerazione è che i due svenimenti possano essere, sotto un determinato punto di vista, correlati fra loro, che possano essere cioè dovuti a esigenze analoghe. Alla riviera dell'Acheronte, il perdere i sensi e il ritrovarsi sull'altra riva viene associato al tentativo di oltrepassare un corso d'acqua, che rappresenta una discontinuità territoriale. Nel secondo caso, tutto questo viene meno, sebbene dopo lo svenimento, Dante si ritrovi in effetti nel cerchio successivo. Poiché però c'è una sorta di continuità territoriale, non si sente la necessità di sollevare alcuna obiezione in merito alla modalità con cui il Poeta possa aver compiuto il tragitto, da un cerchio all'altro.
Non nego che messa in questi termini, la questione non susciti particolari perplessità; se si analizza il cavo infernale da un punto di vista dimensionale e architettonico, ecco che la continuità territoriale, a cui si accennava prima, venga in un certo qual modo a mancare, in particolare proprio tra secondo e terzo cerchio.
In base ad alcune considerazioni relative alle dimensioni e alla forma del cavo, risulta che passare dal cerchio dei lussuriosi a quello dei golosi, sia impossibile (per via dell'enorme distanza che li separa) in modo convenzionale, ma sia necessario ricorrere ancora una volta all'espediente dello svenimento. La distanza tra la campagna degli ignavi (su una riva dell'Acheronte) e il Limbo (sulla riva opposta) è altresì talmente elevata da richiedere il famoso espediente, affinché i pellegrini possano averne ragione. Dal terzo cerchio in poi, le distanze o non sono così impossibili, da poter essere coperte in modo convenzionale, o Dante può godere dell'aiuto di demoni e mostri, quali mezzi di trasporto: i centauri, Gerione, i giganti stessi.
Ed ecco perché nelle zone più profonde dell'Inferno, nonostante le raccapriccianti immagini che si offrono agli occhi del pellegrino, egli non perda mai i sensi: non ce n'è più bisogno, se mi è concessa la libertà di usare una simile espressione.
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